La casa editrice Adelphi ha dedicando in questi anni una serie di pubblicazioni agli scritti di Vladimir Nabokov (1899-1977), scrittore, critico, scacchista, accademico e entomologo. Nabokov nacque a San Pietroburgo, ma visse buona parte della sua vita in Europa, prima (Germania, Gran Bretagna), e negli Stati Uniti, poi. Come romanziere lo si ricorda soprattutto per una manciata di testi in lingua inglese, tra i quali il celeberrimo Lolita (1955). Da critico, ma soprattutto, da divulgatore, Nabokov ha avuto altresì il grande merito di far conoscere meglio alla comunità letteraria aldiquà della cortina una figura letteraria di primissimo piamo come quella di Nikolaj Gogol’, attraverso lo studio biografico e letterario su diverse fonti e testimonianze.

Gogol’ genio eccentrico
…Ma tra i vari appellativi usati per definire la sua attività e il suo status, non si tralasci quello di “aristocratico”. Gogol’ fautore dell’ortodossia sui generis nell’ultima parte della sua breve vita. Nabokov parte proprio da questo punto: apre il suo saggio descrivendoci il grande scrittore in procinto di lasciare questo mondo. Potremmo anche immaginarcelo intento ad armeggiare intorno a una stufa prima di afflosciarsi sul letto. È lì che sta dando fuoco al prosieguo del suo romanzo più noto e acclamato – ma sovente frainteso – Le anime morte (1842). In questo tentativo ha tracimato l’ossessione religiosa, e certi strani discorsi di cui sono piene le sue ultime lettere agli amici. Nabokov cita alcuni passi dei Brani scelti… in cui Gogol’ dà scandalo presso i nascenti astri della letteratura civile. In alcune di queste “lettere” egli dà, tra l’altro, consigli insostenibile ai possidenti terrieri, a quella aristocrazia russa che secondo lui ha in mano le sorti della nazione. Per Gogol’ dire “Russia” equivaleva a dire “umanità”.
Un po’ più lontano il Gogol’ rivoluzionario descrittore delle piccolezze quotidiane, e maestro di ironia implacabile, pura scaturigine della sua personalità che in queste pagine ci viene descritta attraverso gustosi aneddoti, come la sua breve esperienza da impreparato docente di storia all’Università di San Pietroburgo e da simulatore di malanni, oppure i momenti del tormentato rapporto con la madre.
Nel raccontare il genio, Nabokov formula un giudizio, che comprende una certa disaffezione rispetto a quelli che risultano in buona parte luoghi comuni, o quanto meno, a parer suo, riduzioni. Così, ad esempio, il Gogol’ “padre” del realismo magico.
Lo scrittore funambolo interprete dell’anima russa
Nabokov supporta le sue idee riportando e commentando passi di opere come ad esempio Il revisore (che troverete anche con il titolo l’Ispettore generale), opera che diede vita a una messa in scena teatrale che causò la reazione delle autorità zariste. È tuttavia opinione desumibile da queste pagine che al Gogol’ del Revisore come a quello delle Anime morte, non stesse tanto a cuore la denuncia, quanto piuttosto il cogliere quella umana bruttura che con un termine di difficile traduzione i storici e i letterati hanno definito pošlost’. Pošlost’, spiegata da Nabokov, chiarita, ancora con succosi esempi.
In questo saggio – che ha conosciuto nelle varie edizioni più revisioni – Nabokov abbozza una sorta di operazione culturale, pur conscio della enorme diversità linguistica, oltre che di costumi, intercorrente tra la sua lontana e vasta patria e il mondo anglosassone… Come sono folcloristici questi Russi! Nabokov scrive un’opera essenzialmente divulgativa non astenendosi da letture forse personali e da una descrizione che si appunta ad esempio sulla pronuncia dei nomi russi e sulle curiose assonanze possibili al rigido orecchio occidentale.
E così, Nabokov sembra avallare il detto “bisogna conoscere la lingua russa per poter apprezzare gli scrittori russi”; a maggior ragione, si direbbe, per Gogol’, funambolo della lingua e della parola.
Trovate dunque in una buona traduzione i suoi capolavori: non vi salverete di sicuro dalla sua “demonocrazia”!