Don Carlo Gesualdo, il principe, il musico, l’assassino

Il principe Carlo Gesualdo nasce a Venosa (PZ) l’8 marzo 1566, da Fabrizio e Geronima Borromeo – sorella di quel San Carlo, arcivescovo di Milano, reso famoso dal Manzoni. Nel 1584 muore suo fratello maggiore, lasciando a Carlo la responsabilità della perpetuazione del casato. Una responsabilità che lo porterà a divenire un feroce uxoricida.
Segue a Napoli severi studi ai quali era stato avviato dal padre, amante delle lettere e noto mecenate, e diviene così uno dei più illustri madrigalisti di ogni tempo. Ha avuto come maestri i migliori musicisti dell’epoca: Pomponio Nenna, Giovanni Macque, Stefano Felis, Scipione Stella.

Ritratto di Carlo Gesualdo
Ritratto di Carlo Gesualdo.

Il musicista

All’età di 19 anni pubblica il primo mottetto Ne reminiscaris, Domine, delicta nostra (“Perdona, Signore, i nostri peccati”).
È stato un musicista raffinatissimo ed eccezionale precursore della musica moderna. Amava infatti alterare di un semitono gli intervalli melodici, creando nelle armonie squilibri nelle tonalità; questo modo cacofonico di fare musica e la sua passionalità furono il suo marchio distintivo. Fra le sue opere, sei libri di Madrigali, due di Sacrae Cantiones e uno di Responsori. Autore anche di alcune musiche strumentali, è tuttavia nella polifonia che espresse il suo maggior talento. Giovanni Battista Doni, erudito e teorico musicale del Seicento, lo definì “un genio della musica”, e Manfred Bukofzer – uno dei massimi studiosi di musica barocca -, ha affermato: “Le estremistiche combinazioni armoniche di Carlo Gesualdo trovano un riscontro solo nella musica moderna dei nostri giorni.”
Anna Calvi sostiene che “scrisse musica nel XVI secolo che fu così progressista ed estrema che nessuno è riuscito a ricreare il suo stile fino al XX secolo”.

A lui si sono ispirati Wagner e Stravinskij.

Onorato e ossequiato dagli uomini di cultura del suo tempo, è stato per un lungo periodo amico di Torquato Tasso, di cui ha musicato molti versi.
Il principe e il poeta si erano conosciuti a Napoli, durante uno dei tanti incontri tra artisti dell’epoca. L’amicizia ebbe termine quando Carlo, dopo aver ucciso la moglie Maria D’Avalos, sorpresa con l’amante Fabrizio Carafa, seppe che il Tasso aveva scritto quattro sonetti sull’amore tra i due:

“In morte di due nobilissimi amanti”

Piangete o Grazie, e voi piangete Amori,
feri trofei di morte, e fere spoglie
di bella coppia cui n’invidia e toglie,
e negre pompe e tenebrosi orrori.

Piangete o Ninfe, e in lei versate i fiori
pinti d’antichi lai l’umide foglie
e tutte voi che le pietose doglie
stillate a prova e lacrimosi odori.

Piangete Erato e Clio l’orribil caso
e sparga in flebil suono amaro pianto
in vece d’acque dolci o mai Parnaso.

Piangi Napoli mesta in bruno ammanto,
di beltà di virtù l’oscuro occaso
e in lutto l’armonia rivolga il canto.

Torquato Tasso provò più volte un riavvicinamento, ma senza esito.

La storia

Nel 1586, dunque, Carlo aveva sposato una cugina di primo grado, Maria d’Avalos, una delle donne più belle e sensuali di Napoli, figlia del conte di Montesarchio. Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Poiché erano cugini per celebrare il matrimonio occorse la dispensa del Papa Sisto V. Per Maria erano le terze nozze; si diceva che Federigo, il primo marito, fosse morto “per la troppa attività di letto…
Dalla nuova unione nacque un figlio, Emanuele. Ma la differenza di età, gli interessi culturali diversi, il fascino inesistente del principe, il matrimonio imposto da interessi familiari, portarono ben presto la bella Maria fra le braccia di uno degli uomini più belli della città conosciuto in una festa da ballo, Fabrizio Carafa, duca d’Andria e conte di Ruvo, detto per la sua avvenenza “l’arcangelo”. Fu subito amore, benché anche questi fosse sposato con Maria Carafa e padre di quattro figli. La tresca continuò per diverso tempo. Era sulla bocca di tutti, solo il principe fingeva di non vedere e di non sentire.
Pettegolezzi dicono che fu lo zio Giulio Gesualdo ad armare la mano di Carlo. Giulio sarebbe stato segretamente innamorato della nipote e, più volte respinto da lei e roso dalla gelosia, avrebbe istigato al delitto il principe, che da parte sua era religiosissimo e incapace di nuocere ad alcuno.

L’assassinio

La notte del 17 ottobre del 1590 Carlo finse di partire per una battuta di caccia agli Astroni (una riserva nei Campi Flegrei) e si appostò invece nelle cantine del suo palazzo con tre fidati sicari. Non dovette aspettare molto l’arrivo del duca d’Andria.
Nonostante gli amanti avessero messo di guardia una giovane cameriera, furono sorpresi nel pieno della notte nel talamo nuziale, e barbaramente trucidati


Il principe non partecipò materialmente all’uccisione e rimase nell’anticamera; solo quando tutto fu compiuto si accanì col suo pugnale, prima sul cadavere del duca, quasi volesse cancellare la sua bellezza, e poi sul ventre della moglie.
I corpi straziati e nudi degli amanti furono esposti sul portone di casa, per mostrare alla città che l’onore del principe di Venosa era salvo.

“Piangi, Napoli mesta in bruno ammanto,
Di beltà, di virtù  l’oscuro accaso
E in lutto l’armonia rivolga il canto” 

Il processo

Il principe si recò a confessare il crimine a Juan de Zuniga, conte di Miranda, rappresentante del re di Spagna Filippo II a Napoli; la legge di allora consentiva al coniuge di ammazzare la moglie colta in fragrante adulterio, ma non l’amante, a meno che non fosse una persona abietta e di sicura immoralità.
Il conte pilotò l’inchiesta per un immediato proscioglimento del principe per  giusta causa, e al contempo lo invitò a lasciare Napoli per evitare la vendetta delle potenti famiglie degli uccisi. Carlo si rifugiò nel feudo di famiglia di Gesualdo, sulle montagne dell’avellinese, inaccessibile roccaforte ove era al sicuro da ogni vendetta.
Tuttavia, la coscienza e il ricordo del duplice omicidio continuarono a tormentarlo.

L’espiazione e la ricerca del  perdono

Si dice che indossasse sempre un cilicio e che per aver pace si facesse battere tre volte al giorno da una squadra di dieci giovani. Nondimeno, per perpetuare il casato, il 21 febbraio 1594 sposò Eleonora d’Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II. Dal matrimonio nacque Alfonsino, morto in tenera età .
Carlo donò al paese di Gesualdo molte opere, forse per cercare la pace dell’anima e il perdono di Dio: fece edificare una fontana, tre chiese e due conventi, uno per i Domenicani e uno per i Cappuccini.
Il convento dei Cappuccini comprende la chiesa di S. Maria delle Grazie, nella quale si trova l’imponente tela (481cm x 310 cm, qui sotto immagine) intitolata “Il perdono di Carlo Gesualdo”, di Giovanni Balducci (1609).

Il dipinto è stato restaurato recentemente; prima di tale intervento non ne era noto neanche l’autore, in quanto, in quell’epoca post-tridentina, si pensò bene di rimaneggiarlo per renderlo maggiormente “fruibile” in una chiesa, e fu cancellata anche la firma dell’artista.
La seconda moglie del principe, originariamente in abito spagnolo, fu abbigliata da suora, mentre la scollatura della Maddalena venne ricoperta.
Nella tela risalta il principe in atto umile che, accompagnato dallo zio cardinale Carlo Borromeo, chiede perdono del suo crimine insieme alla nuova moglie, mentre Maria D’Avalos e il duca d’Andria, anche loro in atteggiamento devoto, bruciano fra le fiamme dell’inferno; al centro un angioletto che rappresenta il figlio Alfonsino, al tempo già morto. 

La morte

Nell’ultimo periodo della sua vita, attanagliato dal rimorso, afflitto da emicranie e da atonia intestinale, Gesualdo compone solo musica sacra… Un altro atto di espiazione.
Il 20 agosto 1613 gli giunge da Venosa la notizia della morte dell’unico erede Emanuele, caduto da cavallo. Carlo ne è sopraffatto. Si ritira in una piccola cella del castello e, rifiutando acqua e cibo, si lascia morire, rendendo l’anima a Dio l’8 settembre del 1613.

I dubbi sulla sua sepoltura

Fino  a poco tempo fa  si riteneva, come aveva chiesto nelle sue volontà testamentarie, che le sue spoglie riposassero a Napoli nella chiesa del Gesù Nuovo, ai piedi della sontuosa cappella di S. Ignazio, eretta dalla sua famiglia, dove tuttora si legge l’iscrizione che ricorda il suo nome. Annibale Cogliano, studioso del Centro Studi e documentazione Carlo Gesualdo, afferma secondo documenti da lui esaminati, che il corpo del principe non sarebbe mai stato trasferito in quella cappella. I resti mortali  del principe di Venosa, quindi , sarebbero ancora custoditi nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo (Avellino). Questa tesi è avvalorata da documenti che provengono dal Grande Archivio di Napoli, dall’Archivio di Stato di Potenza, dall’Archivio segreto del Vaticano, da estratti stampa dell’ordine dei Gesuiti e dall’Archivio parrocchiale di Calitri. Quindi sotto la lapide funeraria nella Chiesa del Gesù  scritta circa dopo 30 anni dalla sua morte non sarebbe sepolta la sua salma. La Chiesa del Gesù è poco distante dal palazzo di famiglia in piazza San Domenico Maggiore, dove, chiuse quelle stanze insanguinate, pare che per secoli si sia udito ogni notte “un grido alto e angoscio...” L’urlo della splendida e sfortunata dama ha raggelato il quartiere per anni; almeno fino al 1889, quando il crollo dell’ala maledetta del palazzo sembrò restituire un po’ di pace allo spirito errante di Maria D’Avalos.

La leggenda

Da allora, nelle notti senza luna, l’ombra evanescente riappare, muta. Si aggira silenziosa, dolente, e il suo incedere sembra riecheggiare per gli oscuri vicoli circostanti. Leggenda o verità, il ricordo della vicenda si è perpetuato a lungo.
Nel 1829 viene ordinato “lo bruciamento delle processure penali” relative al caso Gesualdo, tanto continuava a esser vivo l’interesse per la storia.

“Piangete o Grazie, e voi piangete Amori…
…la bella e irrequieta Maria.”

Film e spettacoli

Il regista tedesco Klaus Lindermann negli anni ’90 ha realizzato su Gesualdo un documentario televisivo molto suggestivo, coprodotto dalla RAI.
Sulla figura e l’opera del principe dei musici si è cimentato ancora, nel 1995, un altro regista tedesco, Werner Herzog, che nella sua Morte a cinque voci ha avuto come protagonista, nelle vesti di Maria d’Avalos, Milva.

Nel 1995  fu invece Alfred Schnittke a proporre un’opera “in un prologo, sette scene e un epilogo””. Gesualdo, di Schnittke.

Nel 2007 Bernardo Bertolucci avrebbe dovuto girare un colossal su Carlo Gesualdo. Il film, ambientato nella Napoli della fine del ‘500 ma anche a Venosa, Gesualdo e Conza, doveva aver per titolo  Heaven and Hell. “Sarà un film molto costoso – aveva annunciato il regista – per questo, purtroppo, lo dovremo girare in inglese, visto che dovrà essere venduto in tutto il mondo“. Sceneggiatura pronta, ma  purtroppo  non se ne fece più nulla.

Nel 2009 il regista Luigi Di Gianni gli ha dedicato un film dal sapore documentaristico, Carlo Gesualdo. Appunti per un film, girato nei luoghi in cui il principe visse e con la testimonianza del compositore e direttore d’orchestra Francesco d’Avalos, discendente di Maria, la moglie infedele.

Nel 2017 il regista Gonzalo López ha realizzato il film Dolorosa gioia, basato sulla relazione del compositore Carlo Gesualdo con sua moglie Maria D’Avalos. Il film adatta al presente la relazione della coppia ed ha la peculiarità di non avere dialoghi, dando quindi una speciale importanza alla musica come mezzo espressivo delle emozioni.

Nel 2018 Tu m’uccidi, o crudel!, di Giovanni Calvino, vince il premio come miglior corto al Gran Galà del cinema e della fiction, con la magistrale interpretazione di Franco Javarone.

Nel 2019 il regista Roberto Aldorasi ha realizzato lo spettacolo intermediale In flagrante delicto – Gesualdo da Venosa, Principe dei musici, con Marcello Prayer, su testo di Francesco Niccolini e musica di Alessandro Grego, presentato al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, lavoro che ripropone poeticamente la vicenda umana e artistica di Gesualdo insieme alla ricomposizione elettronica di alcuni dei suoi madrigali.

Franco Javarone
Franco Javarone in “Tu m’uccidi, o crudel!”

Opere Musicali

Nel 1957 per iniziativa di Glenn Watkins e Wilhelm Weismann, fu avviata la prima edizione completa delle opere di Carlo Gesualdo dall’editore tedesco Ugrino, completata nel 1967 con un contributo di Igor Stravinsky. Finalmente, nel 2018, è stato pubblicato il primo volume (Il quinto libro dei madrigali) della Nuova Edizione Gesualdo (New Gesualdo Edition) presso l’editore Bärenreiter, destinata a sostituire dopo mezzo secolo la precedente, ormai introvabile, in 12 volumi, promossa da tre istituti universitari italiani (Università della Basilicata, di Pavia e Cremona e Istituto Italiano per la Storia della Musica) con un comitato scientifico presieduto ancora da Glenn Watkins e con il supporto del Comitato per le Celebrazioni Gesualdiane della Regione Basilicata e della Fondazione Gesualdo.

Composizioni del Principe:

1594: Madrigali libro primo (a 5 voci)

1594: Madrigali libro secondo (a 5 voci)

1595: Madrigali libro terzo (a 5 voci)

1596: Madrigali libro quarto (a 5 voci)

1603: Sacrarum cantionum liber primus, 21 Motetti (a 5 voci)

1603: Sacrarum cantionum liber secundus, 20 Motetti (a 6-7 voci)

1611: Madrigali libro quinto (a 5 voci)

1611: Madrigali libro sesto (a 5 voci)

1611: Responsoria et alia ad Officium Hebdomadae Sanctae spectantia (a 6 voci)

1626: Madrigali libro settimo (a 6 voci, scomparso).

Franco Battiato ha dedicato al compositore il brano “Gesualdo da Venosa”, contenuto nell’album L’ombrello e la macchina da cucire (1995).

Romanzi  e sceneggiature

Numerosi e in diverse lingue  sono i saggi  e i romanzi che sono stati scritti  su questo grande musicista dalla storia intricante, fra quelli più importanti che si potrebbero ancora  trovare in commercio sono:

Romanzi

Alberto ConsiglioGesualdo ovvero Assassinio a cinque voci – Arturo Berisio editore, 1967.

Michel BreitmanTestimone nell’ombra. Il giardino degli orrori di Gesualdo da Venosa, Ed. Sugarco, Milano, 1986.

Jean Marc Turine, Gesualdo, ed. Benoit Jacob, Paris, 2003. 

Dora LiguoriCarlo Gesualdo. Principe di Venosa, principe dei musici, ed. Florestano, 2010.

Roberto de SimoneCinque voci per Gesualdo. Travestimento in musica e teatro di un mito d’amore, morte e magia, ed. Einaudi, 2013.

Miranda MirandaBellissima regina. Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore,  ed. Scrittura e scritture, 2019.

Andrea TarabbiaMadrigale senza suono, Bollati Boringheri, 2019 (vincitore del  Premio Campiello).

Francesco Caloia, Gesualdo & Gesualdo, Casa Editrice Per Versi, 2011.

 

Saggi

Annibale Cogliano: Carlo Gesualdo omicida tra storia e mito, Edizioni Scientifiche italiane, 2006; Carlo Gesualdo  il principe, l’amante,  la strega, Ed. Scientifiche italiane, 2004; Carlo Gesualdo da Venosa. Per una biografia, ed. Giuseppe Barile, 2016.

Giovanni Iudica: Il principe dei musici, Sellerio editori, 2007; Il caso Gesualdo, ed. La vita felice, 2013.

Antonio Vaccaro: Carlo Gesualdo principe di Venosa – L’uomo e i tempi, Osanna ed., 1998; L’affaire Gesualdo, atto unico, Osanna ed., 2005.

Giovanni Savignano: Intrighi. Carlo Gesualdo tra musica amore e morte, I Libri della Leda, 2010.

Streito, Bernardino, Lorenzetti, Loredano Matteo: Carlo Gesualdo principe di Venosa: scritti a più voci, ed. Gens, 1991.

Lina Lo Giudice: Carlo Gesualdo e le dame di Ferrara, ed. La stamperia del principe, 2013.

Ennio Speranza: Carlo Gesualdo principe di Venosa, ed. Ismez, 1998.

Walter Scudero: “Piangete, o Grazie, e voi piangete, o Amori.” Carlo Gesualdo da Venosa il    principe madrigalista uxoricida a palazzo de’ Sangro nella Napoli del tardo 500,  ed. Laterza, 2010.

Glenn Watkins: Gesualdo the Man and His Music, Oxford University Press, 1991.

Matthias Blume: Exzentrischer Manierist oder Wegbereiter der Atonalität? Eine Annäherung, ed. Verlag Dohr Köln, 2012.

Salvatore La Vecchia: La giostra del principe, Mephile, 2010.

Pietro Misuraca: Carlo Gesualdo Principe di Venosa, ed. L’Epos, 2000,

Orsola Tarantino Fraternali: Carlo Gesualdo. L’uomo, il suo tempo, la musica, Terebinto Ed. 2015.

 

Su segnalazione del   Sig .Giovanni Savignano 

Tra i film -documentari su. Carlo Gesualdo da menzionare  anche    quello di Roberto Flammia , “Intrighi, nei castelli del Principe” con sottotitoli in inglese.

e , il film di Francesco Leprino “‘O dolorosa gioia””